Patologie della retina
La retina rappresenta lo strato più interno e nobile del bulbo oculare. In particolari condizioni può accadere che si formino dei fori o delle lacerazioni (rotture) della retina in periferia. Queste lesioni sono pericolose poiché in determinate situazioni possono predisporre al distacco di retina. Il 60% delle rotture retiniche si forma in aree retiniche ove sono già presenti aree di degenerazione retinica (dette regmatogene, cioè in grado di provocare rotture); esistono anche lesioni retiniche periferiche non regmatogene che non sono in grado di generare rotture della retina.
I sintomi rivelatori di una rottura retinica sono solitamente la percezione di lampi (fotopsie) o la recrudescenza di corpi mobili (mosche volanti o miodesopsie). A volte le lesioni sono scoperte anche in assenza di sintomi.
Come già detto le degenerazioni retiniche periferiche possono essere divise in regmatogene e non regmatogene:
Degenerazioni retiniche non regmatogene
- Degenerazione cistoide (microcistica di Blessig ed Iwanoff): caratterizzata dalle omonime cisti, bilaterale nel 40% dei casi. Vi è un’associazione con la retinoschisi acquisita di cui sembra esserne la causa.
- Degenerazione a fiocchi di neve: si tratta di minute chiazzette di color bianco giallastro disseminate in periferia . Può però essere associata a degenerazione a lattice, a degenerazione a bava di lumaca ed alla retinoschisi acquisita.
- Degenerazione pavimentosa: è caratterizzata da aree di atrofia retinica bianco-giallastre che lasciano trasparire al loro interno la superficie sclerale interna ed i vasi coroideali spesso circondate da aree di pigmento. È presente nel 25% circa della popolazione.
- Degenerazione a favo d’api (reticolare): è una degenerazione senile innocua caratterizzata da un fine accumulo di pigmento disposto a formare un disegno che ricorda molto le cellette degli alveari delle api
- Drusen (corpi colloidi) periferiche: chiazzette rotonde bianche-giallastre pallide, più o meno pigmentate e spesso bilaterali.
- Degenerazione pigmentaria orale: è una forma di degenerazione retinica pigmentaria senile che forma una linea di pigmento con decorrenza parallela all’ora serrata.
Degenerazioni retiniche regmatogene
- Degenerazione a lattice o palizzata: è presente in circa l’8% della popolazione ed in circa il 40% dei pazienti con distacco di retina. È associata in particolar modo alla miopia e ad alcune sindromi come la Marfan, la Ehlers-Danlos e la Stickler. Si tratta di aree di assotigliamento della retina periferica ben demarcate, ovalari o fusiformi disposte parallelamente all’equatore associate a ialinizzazione o inspessimento dei vasi che conferiscono loro l’aspetto a spina di pesce o a palizzata. Le lesioni sono bilaterali nella maggior parte dei casi e localizzate nei settori temporali superiori. Esiste anche una variante atipica con disposizione radiale perivascolare (più frequenti nella sindrome di Wagner-Jansen-Stickler). Predispongono al distacco di retina per la frequente presenza di fori retinici o soluzioni di continuo nella compagine della degenerazione e per le tenaci aderenze tra il vitreo ed i margini della degenerazione che tendono a staccarla dalla sede propria soprattutto in caso di distacco posteriore di vitreo.
- Degenerazione a bava di lumaca (o a brina o Givrè): è indicata da alcuni come stadio precedente la degenerezione a lattice anche se possiede caratteristiche proprie. Sono caratterizzate dalla presenza di numerosi puntini bianchi rifrangenti disposti in maniera da ricordare la scia della bava delle lumache. Ne esistono tre forme: a focolai, diffusa ed una associata ad altre degenerazioni. Frequentemente è bilaterale. Può portare a formazione di rotture retiniche nel 20-30% dei casi per le aderenze vitreo-retiniche che si formano ai margini della lesione.
- Retinoschisi degenerativa: la retinoschisi è una separazione della retina in due foglietti, uno interno (vitreale) ed uno esterno (coroideale); Ne esistono due forme: la retinoschisi acquisita che può essere piana o bollosa e si osserva con maggior frequenza nella quinta-sesta decade di vita e la retinoschisi congenita (ereditaria e legata al cormosoma X) presente ala nascita ed interessante la regione maculare nel 98-100% dei casi.
Nella stragrande maggioranza dei casi la schisi interessa i quadranti infero-temporali, è bilaterale, sembra una forma esagerata di degenerazione microcistica ed è una condizione innocua ed autolimitante. Solo in una piccolissima percentuali di schisi reticolare si osserva la tendenza della stessa a progredire verso il polo posteriore e a formare rotture di entrambi i foglietti al suo interno, provocando un distacco di retina. - Bianco con e senza pressione: sono aree retiniche traslucide di aspetto bianco grigiastro ben distinte dalle aree retiniche adiacenti evidenziabili indentando la retina (con pressione) o senza. Le aree di bianco senza pressione possono dare origine a rotture retiniche giganti lungo il loro margine posteriore
Le degenerazioni regmatogene devono essere seguite con visite specialistiche periodiche e non necessitano di alcun trattamento profilattico in quanto non portano di per sé a nessuna complicanza. Le degenerazioni retiniche regmatogene invece comportano un maggior rischio per il paziente di andare incontro ad un distacco di retina; nel caso vengano riscontrate, le scelte terapeutiche sono essenzialmente due: quella di seguirne l’evoluzione nel tempo con visite ravvicinate o, nei casi più a rischio, effettuare un trattamento profilattico con argon-laser per evitarne l’evoluzione in rottura retinica e quindi in un possibile distacco. Nel caso invece fossero diagnosticati fori retinici a tutto spessore o rotture retiniche questi vanno trattati urgentemente con argon laser.
Lo scopo del trattamento argon laser è di creare una reazione cicatriziale solida intorno alla lesione e tentare di prevenire un distacco della retina. Questo trattamento non impedisce la formazione di altre lacerazioni. A seconda dei casi, può venir proposto un trattamento più esteso (sbarramento circolare).
Nella maggioranza dei casi il trattamento è risolutivo. In alcuni casi tuttavia, dove le lesioni sono numerose o troppo avanzate , il trattamento laser non è sufficiente e diventa necessario un intervento chirurgico.
Non ci sono allo stato attuale delle conoscenze, trattamenti medici o alternativi al laser.
Per distacco di retina s’intende la separazione del tessuto nervoso fotosensibile, che consente all’occhio di percepire immagini e colori, dalla tessuto sottostante (l’epitelio pigmentato retinico).
Il distacco di retina è sempre un evento molto grave per l’occhio e per la vista, tanto più grave quanto più estesa è la parte distaccata.
Sintomi
La sintomatologia del distacco di retina comprende la scomparsa o l’offuscamento di una porzione più o meno estesa del campo visivo. Quando anche la parte centrale del campo visivo è offuscata, significa che il distacco ha coinvolto la macula, la parte più nobile della retina. In questi casi la prognosi è più grave e minore il recupero visivo dopo la chirurgia. A volte un distacco di retina è preceduto dalla comparsa improvvisa di lampi di luce (fotopsie), spie di una trazione da parte del corpo vitreo sulla retina, con creazione di una rottura retinica. Nella maggior parte dei casi il distacco di retina è infatti causato da una rottura retinica, conseguenza del distacco posteriore del vitreo. La miopia elevata, l’intervento chirurgico per l’estrazione della cataratta e i traumi aumentano il rischio di un distacco di retina. Nel caso di un distacco di retina, o della comparsa dei sintomi sopraelencati è fondamentale recarsi immediatamente dall’oculista, che con un esame del fondo dell’occhio potrà rendersi conto della situazione e attuare le strategie terapeutiche più opportune.
Cause
L’occhio è riempito nella sua parte centrale da un gel trasparente, il vitreo, strettamente adeso alla superficie retinica. Nel corso degli anni il vitreo va normalmente incontro a una progressiva liquefazione, e alla fine perde il contatto con la retina.
Solitamente quando il vitreo si distacca dalla retina non causa alcun disturbo, se non a volte la comparsa delle cosiddette mosche volanti, o corpi mobili vitreali. A volte distaccandosi, il vitreo tira sulla retina sufficientemente forte da formare una rottura in uno o più punti. In quel caso, il fluido presente all’interno dell’occhio può insinuarsi dietro la rottura e sollevare la retina dalla parete posteriore dell’occhio, come se una carta da parati si staccasse da un muro.
Le seguenti condizioni aumentano il rischio di avere un distacco retinico:
- Miopia;
- Precedente chirurgia della cataratta;
- Trauma oculare severo;
- Distacco di retina nell’altro occhio;
- Storia familiare di distacco di retina;
- Degenerazioni retiniche diagnosticabili mediante l’esame del fondo.
Prevenzione
La prevenzione del distacco di retina si basa esclusivamente sull’educazione del paziente circa i sintomi di un distacco di retina e sul tempestivo trattamento laser delle rotture retiniche sintomatiche (accompagnate da flash e mosche volanti), che ancora non hanno portato a distacco.
Terapia
La terapia del distacco di retina è chirurgica e si basa sul rilascio della trazione vitreale sulla retina e nella chiusura della rottura causa del distacco.
Esistono due tipi d’intervento: 1) chirurgia episclerale (ab externo), 2) vitrectomia (ab interno).
La chirurgia episclerale consiste nell’apposizione di una “cintura con borchia” (cerchiaggio + piombaggio) all’esterno dell’occhio in modo tale che la parete esterna dell’occhio si ritrovi avvicinata alla retina distaccata e questa a sua volta al gel vitreale in modo da rilasciare la trazione del gel stesso sulla rottura. La rottura non più sottoposta a trazione può allora chiudersi e del laser o del criotrattamento sono fatti attorno ad essa per impedirne la riapertura. Il liquido sottoretinico, responsabile del distacco, è drenato attraverso un buchino (puntura evacuativa) sulla parete esterna dell’occhio.
Vantaggi di questa tecnica sono la minor incidenza di complicanze infettive e di cataratta.
Tuttavia non tutti i tipi di distacchi di retina possono essere curati in questo modo.
La vitrectomia è invece un intervento più moderno, eseguito direttamente all’interno dell’occhio praticando tre piccolissimi buchini nella parete esterna, per l’inserimento dei trocar, strumenti che consentono l’accesso all’interno del bulbo oculare.
Con l’ausilio di uno strumento che taglia e aspira, il vitrectomo, il gel vitreale viene quasi completamente rimosso, eliminando la causa della rottura che, non più sottoposta a trazione, può quindi essere chiusa e sigillata anche in questo caso con un trattamento endolaser.
Al termine dell’intervento il liquido sottoretinico è attivamente aspirato dal chirurgo mentre soluzioni tamponanti (aria, gas o olio di silicone) sono iniettati nell’occhio in modo da tenere la rottura asciutta e la retina riaccollata. L’aria e il gas sono progressivamente riassorbiti in modo spontaneo e l’occhio stesso baderà a riempirsi nuovamente di acqua. Il vitreo non sarà più ricostituito, ma sarà appunto interamente sostituito dall’acqua. L’olio di silicone deve invece essere rimosso chirurgicamente e impone quindi un secondo intervento.
Tutti gli interventi per distacco di retina, a meno di particolari condizioni o preferenze del paziente, possono essere eseguiti tranquillamente in anestesia locale, con un’iniezione vicina all’occhio e non richiedono ricovero.
Il paziente, una volta operato, può andarsene comodamente a casa, e tornare il giorno dopo per i controlli post-operatori.
Prognosi
Attualmente, i risultati della chirurgia del distacco retinico sono molto buoni.
Il successo anatomico con un solo intervento è prevedibile nel 90% dei casi circa e con due interventi in più del 95% dei casi circa.
Purtroppo a volte è necessario più di un intervento, a causa di processo abnorme di cicatrizzazione che l’occhio mette spontaneamente in moto: la proliferazione vitreo-retinica. In questo caso, membrane cicatriziali si formano sulla retina, inducendone nuovamente il distacco, per il cui trattamento di solito necessario è una vitrectomia con rimozione delle membrane e sostituzione del gel vitreale con olio di silicone, anziché con aria o gas.
Non è insolito, nei casi complicati da proliferazione vitreo-retinica, dover intervenire anche tre o quattro volte.
Il recupero visivo dopo intervento di distacco di retina è variabile e dipende fondamentalmente dal coinvolgimento o meno della parte centrale della retina: la macula.
I distacchi cosiddetti macula-on (macula attaccata) sono delle vere e proprie emergenze chirurgiche da trattare entro 24/48 ore, poiché il risultato della chirurgia è potenzialmente molto buono.
I distacchi macula–off (macula staccata), rappresentano al contrario delle emergenze differibili, nel senso che possono essere operati entro una settimana dall’esordio dei sintomi senza che la prognosi cambi. Tuttavia la prognosi è variabile e molto probabilmente la capacità di lettura sarà compromessa a vari livelli.
Molto spesso la vista postoperatoria sarà compresa fra due e sette decimi (dieci sono la normalità).
La retinopatia diabetica è la più importante complicanza oculare del diabete mellito e costituisce nei paesi industrializzati la principale causa di cecità legale tra i soggetti in età lavorativa. I sintomi ad essa correlati spesso compaiono tardivamente, quando le lesioni sono già avanzate, e ciò sovente limita l’efficacia del trattamento.
A livello nazionale non esistono dati relativi alla prevalenza ed incidenza della cecità legale (residuo visivo non superiore a 1/20 nell’occhio migliore) nei pazienti diabetici, e neppure un registro dei soggetti affetti da diabete mellito. Esistono tuttavia dati epidemiologici da cui emerge che almeno il 30% della popolazione diabetica è affetto da retinopatia e che annualmente l’1% viene colpito dalle forme gravi della stessa. I principali fattori di rischio associati alla comparsa più precoce e ad un’evoluzione più rapida della retinopatia sono la durata del diabete, lo scompenso glicemico e l’eventuale ipertensione arteriosa concomitante, sia nei pazienti con diabete di tipo 1 che in quelli di tipo 2.
Screening
Le evidenze scientifiche oggi disponibili hanno dimostrato che, mediante programmi di screening e trattamento della retinopatia diabetica (RD), è possibile ridurre drasticamente la cecità da diabete.
Tutti i pazienti diabetici devono essere valutati dall’oculista che valuterà l’acuità visiva per lontano,per vicino ed un controllo minuzioso del fundo oculare.
La visita oculistica deve avere cadenza annuale in caso di assenza di retinopatia diabetica o retinopatia diabetica lieve. In tutti gli altri casi le visite saranno più frequenti con cadenza decisa dall’oculista e dallo specialista diabetologo. È fondamentale sottoporsi a tutti i controlli prescritti, poichè la compliance del paziente è fondamentale per un buon controllo della malattia diabetica e di tutte le sue complicanze.
Fattori di rischio
- tipo di diabete: i diabetici tipo I hanno un rischio decisamente superiore rispetto al tipo II (40% vs 20%) di sviluppare RD
- durata del diabete: se il diabete esordisce entro i 30 anni, si ha un rischio di sviluppare RD del 50% a 10 anni
- gravidanza
- ipertensione
- nefropatia
- fumo, obesità ed iperlipidemia
- attività fisica
Patogenesi
La retinopatia diabetica è una malattia che colpisce i vasi più piccoli della retina (microangiopatia) ed in particolare le arteriole precapillari, i capillari e le venule post capillari.
I vasi danneggiati da diabete, avranno due conseguenze specifiche: la loro stessa chiusura (occlusione microvascolare), e l’alterazione della permeabilità.
L’occlusione microvascolare diffusa causa uno stato di ipossia retinico, ossia una carenza di ossigeno alle cellule; per ovviare a questo deficit, le retina produce fattori (fattori di crescita) che stimolano la produzione di nuovi vasi; purtroppo però i nuovi vasi formati (neovasi) hanno alterazioni della parete vasale che li portano a formare microaneurismi, shunt artero-venosi (IRMA: anomalie intravascolari retiniche) ed ectasie capillari; inoltre l’alterata permeabilità della loro parete porterà allo sviluppo di emorragie intraretiniche ed edema.
Classificazione
La RD viene distinta in due stadi: non proliferante e proliferante. Tale classificazione, pur nella sua semplicità, ha una base anatomo-patologica (nella RD non proliferante le lesioni sono contenute nell’ambito del tessuto retinico, mentre nella proliferante invadono il corpo vitreo) e consente di tenere distinti quadri clinici con caratteristiche diverse sia dal punto di vista terapeutico che prognostico.
All’osservazione del fondo dell’occhio si possono identificare le seguenti lesioni: microaneurismi, emorragie, essudati duri, noduli cotonosi, anomalie microvascolari intraretiniche (IRMA), irregolarità del calibro venoso, edema retinico e proliferazione fibrovascolare, la cui comparsa identifica la forma proliferante.
La retinopatia non proliferante viene distinta in tre stadi di crescente gravità: lieve, moderata e grave o preproliferante sulla base della presenza e numerosità delle lesioni. La forma lieve è caratterizzata dalla presenza di rari microaneurismi ed emorragie; l’incremento di tali lesioni, associato alla comparsa di essudati duri, definisce il quadro di moderata gravità; lo stadio non proliferante grave è caratterizzato dalla coesistenza di numerosi microaneurismi, noduli cotonosi, emorragie retiniche profonde, anomalie del calibro venoso ed IRMA. Tali segni oftalmoscopici sono espressione indiretta di fenomeni di danno anatomo-funzionale della parete vasale e di fenomeni di occlusione dei capillari retinici, con conseguente ridotta perfusione di aree retiniche più o meno estese (aree ischemiche). Tali aree di ipoperfusione causano la liberazione di sostanze angiogeniche, la più importante delle quali è il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) responsabili delle proliferazioni fibrovascolari. L’identificazione della retinopatia non proliferante grave è importante in quanto essa evolve in retinopatia proliferante in circa la metà dei casi entro 12 mesi.
La retinopatia proliferante è caratterizzata dallo sviluppo di capillari neoformati (neovasi o neovascolarizzazioni), che rappresentano un tentativo di supplire alla ridotta perfusione retinica. I neovasi presentano una parete costituita da solo endotelio e, pertanto, sono molto fragili e sanguinano facilmente, causando emorragie pre-retiniche ed endovitreali. Le neovascolarizzazioni possono essere localizzate sulla retina e/o sulla papilla ottica e si accompagnano ad un’impalcatura fibrosa che prende inserzione sul piano retinico ed all’interno della cavità vitreale. La contrazione di tale tessuto può essere causa di distacco retinico secondario. Viene definita retinopatia proliferante ad alto rischio la forma in cui le neovascolarizzazioni hanno grandi dimensioni (>1/3 dell’area papillare) o sono associate a fenomeni di sanguinamento preretinico. Una ulteriore temibile conseguenza della ridotta perfusione del tessuto retinico è lo sviluppo di neovasi a livello del segmento anteriore dell’occhio (iride ed angolo della camera anteriore), con conseguente comparsa del glaucoma neovascolare.
Sia la retinopatia non proliferante che la retinopatia proliferante possono essere complicate da un danno della parte centrale della retina, la macula, di tipo edematoso e/o ischemico, cui consegue una grave compromissione delle funzioni visive, in particolare dell’acuità visiva e della percezione dei colori. L’edema maculare diabetico (DME) colpisce maggiormente i pazienti con diabete di tipo 2 e, poiché questi rappresentano il 90% della popolazione diabetica, costituisce attualmente la principale causa di handicap visivo secondario al diabete. La mancanza di riduzione della capacità visiva non è indice di assenza di microangiopatia retinica diabetica, giacché la sintomatologia soggettiva può non essere presente anche negli stadi avanzati della retinopatia non proliferante o proliferante, se non vi è coinvolgimento maculare.
Sulla base delle caratteristiche cliniche è stato identificato un quadro a maggior rischio di danno visivo, definito edema maculare clinicamente significativo (CSME), caratterizzato da:
- ispessimento della retina entro 500 mm dal centro della macula;
- essudati duri localizzati entro 500 mm dal centro della macula, associati ad ispessimento della
retina; - aree di ispessimento retinico ampie almeno 1 diametro papillare a distanza pari o inferiore ad un diametro papillare dal centro della macula.
Questa definizione è stata, ed è tuttora, utilizzata per l’indicazione al trattamento fotocoagulativo. Con l’introduzione dell’OCT e della terapia anti-VEGF, è preferibile ad oggi distinguere una forma di edema centrale, ossia che coinvolge il centro della fovea con esame clinico e OCT, da una non centrale. Un cut-off di spessore OCT di 300 micron, o più, nel central subfield è stato utilizzato come criterio di inclusione in alcuni studi clinici sulla terapia anti-VEGF.
Diagnosi
La diagnosi è clinica ma si avvale della fluoroangiografia retinica e dell’OCT per la corretta diagnosi, stadiazione, trattamento e follow-up della RD.
Fluoroangiografia: la fluoroangiografia o FAG consiste nel’esecuzione di fotografie del fondo oculare mediante l’iniezione di un colorante vitale (la fluoresceina appunto). Questo esame permette lo studio minuzioso delle alterazioni vascolari retiniche ed è l’esame fondamentale per una corretta valutazione della retinopatia diabetica. Infatti sono osservabili anche le alterazioni iniziali della RD non evidenziabili con la normale osservazione del fundus. Inoltre l’esecuzione della FAG è fondamentale per la valutazione delle aree retiniche ischemiche e della successiva fotocoagulazione retinica con argon laser.
OCT: La tomografia a coerenza ottica, o OCT (Optical Coherence Tomography), è una tecnica di imaging non invasiva, che permette di ottenere sezioni della retina in vivo senza l’utilizzo di mezzi di contrasto. Viene utilizzato nella retinopatia diabetica per la diagnosi ed il follow up dell’edema maculare. Infatti questo strumento ci permette di ottenere immagini ad altissima risoluzione, potendo diagnosticare edemi retinici anche subclinici (asintomatici).
Ecografia oculare: è molto utile per lo studio della retinopatia diabetica proliferante, per la valutazione retinica in caso di emovireo o di opacità dei mezzi importanti (cataratta, ecc)
Terapia
La fotocoagulazione laser è stata lo standard di cura della RD proliferante e dell’edema maculare diabetico (EMD) negli ultimi decenni. Più recentemente, l’interesse verso la somministrazione di sostanze per via intravitreale che agiscono sulla permeabilità e proliferazione vascolare retinica ha promosso la ricerca sull’uso di farmaci che hanno un buon rapporto tra efficacia e sicurezza se iniettati direttamente nel bulbo oculare.
Fotocoagulazione laser
Il meccanismo attraverso cui il laser è in grado di contrastare l’edema e la neoangiogenesi retinica, pur essendo stato oggetto di vari studi e numerose teorie, rimane scarsamente compreso; recentemente è stato anche ipotizzato che un danno retinico a tutto spessore, come avviene con il laser convenzionale, non sia necessario per ottenere effetti terapeutici. La sua efficacia sembrerebbe legata alla capacità di ridurre la concentrazione intraoculare di VEGF e di altri fattori pro- angiogenici e pro-edemigeni nella retina trattata, tramite la fotodistruzione delle cellule loro produttrici.
Altri possibili meccanismi d’azione sono: la fotocoagulazione diretta di aree di iperpermeabilità focale come i microaneurismi e la stimolazione dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) con riduzione delle citochine infiammatorie nel microambiente retinico. Studi condotti sui felini hanno inoltre dimostrato, dopo trattamento laser, un incremento dell’ossigenazione negli strati retinici più interni.
Recentemente sono state proposte tecniche di trattamento laser meno invasive, quali il laser micropulsato sottosoglia. È noto come il trattamento laser convenzionale sia gravato da un danno termico ai tessuti sani adiacenti all’EPR irradiato, quali neuroretina e coroide, evidenziato oftalmoscopicamente come “sbiancamento”, che nel tempo evolve in atrofia corioretinica. Da un punto di vista funzionale i danni che ne possono conseguire vanno dalla perdita di contrasto, alla presenza di scotomi permanenti anche in concomitanza con un miglioramento dell’acuità visiva. Allo scopo di ovviare a questo fenomeno indesiderato si può ricorrere all’utilizzo di laser micropulsato sottosoglia. Anche il laser micropulsato agirebbe migliorando l’ossigenazione della retina e riducendo i livelli di VEGF e altri mediatori pro-angiogenici e pro-edemigeni; però, a differenza di quanto accade per il laser convenzionale, non vengono raggiunte temperature in grado di danneggiare i tessuti adiacenti. Va inoltre sottolineato che alcuni Autori hanno individuato proprio nell’EPR un bersaglio importante per indurre la riduzione di permeabilità della barriera ematoretinica.
Recentemente, Lavinski et al. hanno condotto uno studio randomizzato controllato, che suggerisce la superiorità del trattamento laser micropulsato ad alta densità rispetto al trattamento laser ETDRS modificato. Anche i dati della microperimetria incoraggerebbero l’utilizzo di questo nuovo approccio meno aggressivo nel trattamento dell’edema maculare clinicamente significativo. Tuttavia, lo strumento laser utilizzato per il trattamento micropulsato è scarsamente diffuso. Inoltre, sarebbe necessario confermare il risultato dello studio sopracitato su altre popolazioni, anche con diverso grado di pigmentazione oculare, prima di considerare il trattamento micropulsato ad alta densità un nuovo standard per la fotocoagulazione laser.
Farmaci intravitreali
I farmaci intravitreali vengono utilizzati da alcuni anni per il trattamento delle maggiori patologie retiniche, con il vantaggio di iniettare la concentrazione di farmaco efficace in camera vitrea garantendone un rilascio prolungato e ridurre la dose circolante, limitando così il rischio di eventi avversi sistemici.
Le molecole più utilizzate sono farmaci anti-VEGF e corticosteroidi. Sulla base della loro capacità di bloccare direttamente o indirettamente i fenomeni di leakage capillare, queste molecole trovano attualmente impiego nel trattamento della maculopatia diabetica.
Vitrectomia
La vitrectomia è l’indicazione di scelta in caso di retinopatia diabetica proliferante e delle sue complicanze. Inoltre vi è indicazione all’esecuzione di una vitrectomia in caso di edema maculare diabetico trazionale.
Lo scopo principale della vitrectomia è l’eliminazione delle membrane trazionali vitreoretiniche che portano al distacco di retina, dello spianamento della retina stessa e del successivo trattamento panfotocoagulativo con endolaser nella stessa seduta operatoria. Spesso la vitrectomia è necessaria in caso di emovitreo, allo scopo di rimuovere il sangue intravitreale ed effettuare il trattamento laser intraoperatorio per prevenire ulteriori sanguinamenti.
La prognosi di questo tipo di intervento è sempre riservata, poiché il trattamento della RD avanzata è molto complesso e non scevro da complicanze.
Come sempre il trattamento migliore per la retinopatia diabetica rimane la prevenzione e la gestione corretta delle sue fasi iniziali.
Sfortunatamente nonostante un trattamento medico e laser ottimali, in alcuni casi si giunge comunque allo sviluppo di retinopatia diabetica proliferante e quindi alla necessità di un intervento di vitrectomia.
Il pucker maculare o membrana epiretinica è una patologia retinica caratterizzata dalla formazione di una membrana di materiale fibrotico che si sviluppa sulla superficie della macula. Il risultato è rappresentato da un “raggrinzimento” della porzione centrale della retina, da cui spesso deriva una distorsione delle immagini e un calo visivo, che può peggiorare nel tempo. La membrana tende infatti a “trazionare” la retina e a determinare la formazione di liquido (edema) all’interno della retina stessa. Generalmente la membrana epiretinica si presenta intorno all’età di 50 anni e possono essere bilaterali nel 20-30% dei casi.
Eziologia
Nella maggior parte dei casi la causa è idopatica, cioè sconosciuta. In altri casi la formazione della membrana è secondaria ad alcune patologie oculari come infiammazioni oculari (uveiti), emorragie vitreali, rotture retiniche, laser trattamento periferico, traumi e interventi chirurgici intraoculari.
Sintomatologia
Può essere molto variabile in base all’entità della membrana epiretinica stessa. Nei casi più lievi (maculopatia “a cellophane”) può essere del tutto asintomatica e andrebbe solo controllata nel tempo per valutare eventuali modificazioni. All’esame del biomicroscopio la membrana è rilevabile come un anomalo riflesso traslucido. All’esame OCT si può rilevare una sottile membrana che non determina alterazioni sognificative della superficie maculare.
Nei casi più gravi la membrana tende a contrarsi e a stirare la superficie retinica. Il paziente inizia ad avvertire una visione distorta (metamorfopsia) e un calo dell’acuità visiva.
In seguito alle forze trazionali che la membrana esercita sulla retina, si può avere la formazione di edema maculare o di emorragie retiniche.
Talvolta questa stessa trazione a livello foveale può provocare la formazione di un foro maculare.
Diagnosi
L’esame del fondo oculare associato all’esecuzione di un esame non invasivo come l’OCT (tomografia a coerenza ottica) consente di ottenere una diagnosi di certezza sulla presenza e l’entità della membrana epiretinica. L’OCT permette di valutare lo spessore retinico e la presenza di eventuali alterazioni intraretiniche dovute alla membrana stessa (edema, alterazione degli strati retinici, etc.). Con l’OCT, inoltre, è possibile seguire in modo accurato l’evoluzione nel tempo della patologia.
Trattamento
Nei casi in cui si assista ad una riduzione dell’acuità visiva e ad un aumento della visione distorta (circa 20-25% dei casi) l’unico trattamento efficace è chirurgico. L’intervento consiste nella vitrectomia e nel peeling della membrana epiretinica, associata o meno al peeling della membrana limitante interna (lo strato più esterno della retina) ed è in grado di migliorare la funzione visiva in circa i 2/3 dei pazienti. Il recupero visivo è influenzato dall’acuità visiva preoperatoria e dalla presenza di eventuali patologie associate.
I risultati dipendono dallo stadio della membrana epiretinica maculare prima dell’intervento, da eventuali patologie oculari concomitanti e dalla insorgenza di complicanze durante o dopo la vitrectomia.
Il foro maculare è una patologia retinica caratterizzata dalla formazione di una soluzione di continuo, un foro appunto proprio al centro della macula (nella fovea).
Sintomi
I sintomi di un foro maculare non sono diversi da quelli di altre affezioni coinvolgenti la parte centrale della retina: diminuzione e distorsione della visione con eventuale presenza di uno scotoma centrale, in altre parole di una piccola area cieca proprio al centro del campo visivo dove le lettere di uno scritto sembrano improvvisamente scomparire.
Cause
L’occhio funziona più o meno come una macchina fotografica nella cui porzione posteriore si trova una pellicola, la retina.
La retina è composta di un sottilissimo strato di cellule e fibre nervose, che lavorano per portare l’informazione visiva al cervello.
Non tutte le cellule retiniche funzionano allo stesso modo. Solo quelle contenute nella parte centrale, la macula, sono sufficientemente sensibili per consentire le azioni più fini e dettagliate del vedere, cioè leggere, guardare la televisione o guidare.
La macula è un’area molto piccola, la cui parte centrale, a sua volta chiamata fovea, non è più grande della capocchia di uno spillo.
Tuttavia l’integrità della macula, e in particolar modo della fovea è fondamentale per la vista. Lesioni di questa parte della retina comportano la perdita della parte centrale del campo visivo.
Il vitreo va immaginato come un elastico che dalla parte anteriore dell’occhio, va ad attaccarsi alla retina e in particolar modo al nervo ottico e alla macula. Quando si parla di distacco posteriore del vitreo, si può immaginare l’elastico che perde la sua aderenza a livello posteriore e rimane libero di galleggiare all’interno dell’occhio.
Nella maggior parte dei casi la separazione del vitreo dalla retina non comporta particolari problemi. A volte il paziente può lamentare la comparsa delle cosiddette mosche volanti, senza tuttavia alcuna diminuzione visiva.
In alcuni individui tuttavia, il vitreo presenta delle caratteristiche di adesione retinica più tenaci. Invece di staccarsi produce una trazione continua sulla retina e, nel caso del foro maculare, in particolar modo sulla macula. Tornando all’esempio dell’elastico è come se esso, nello staccarsi dalla retina rimanesse attaccato a un piccolo pezzetto di macula, portandolo alla fine con sé. Questo processo, in maniera molto semplificata, da’ luogo al foro maculare.
La causa più comune di foro maculare è degenerativa, cioè legata all’età. Molto meno frequente è il foro maculare traumatico. Un trauma contusivo oculare, con accorciamento momentaneo dell’asse antero-posteriore dell’occhio può, infatti, portare alla formazione di un foro al centro della retina.
Diagnosi
La diagnosi di foro maculare è posta con il semplice esame del fondo oculare, previa dilatazione della pupilla. L’OCT è spesso d’aiuto nella diagnosi di questa patologia, aiutando a differenziare i fori maculari da altre affezioni.
Terapia
L’unica possibilità terapeutica del foro maculare è chirurgica, con la vitrectomia. La percentuale di guarigione spontanea è, infatti, molto bassa, e limitata agli stadi iniziali della patologia.
La vitrectomia è la procedura attraverso la quale si asporta il vitreo, causa del problema. Il razionale della chirurgia del foro maculare è, infatti, di rimuovere le trazioni che tengono aperti i lembi della soluzione di continuo consentendo alla retina di ripristinare la sua normale conformazione.
Oltre la vitrectomia, la rimozione quindi della trazione antero-posteriore, si procede al peeling (rimozione) della membrana limitante interna presente normalmente sulla superficie retinica ma causa nel foro maculare di una trazione tangenziale.
Alla fine della vitrectomia e del peeling si inietta nella cavità vitreale dell’aria, o piu’ spesso un gas simile all’aria ma con proprietà di riassorbimento più lente. Lo scopo è quello, infatti, di tenere i margini del foro più asciutti possibile, per permettergli di chiudersi. Lasciare la cavità vitreale da subito ripiena di acqua non permetterebbe, infatti, il successo chirurgico giacché il liquido, incuneandosi al disotto dei lembi del foro, li terrebbe sollevati.
Dopo l’operazione è richiesto al paziente di attenersi a un determinato posizionamento per alcuni giorni. In passato si chiedeva di rimanere a faccia in giù per 2-3 settimane con immani disagi per il malato. Fortunatamente questo periodo si è ora fortemente ridotto a pochi giorni, e si dibatte sulla sua effettiva utilità. In moti casi è richiesto semplicemente di rimanere in posizione seduta e non guardare in alto per 4-5 giorni.
In ogni caso sia l’aria sia il gas, si riassorbono spontaneamente dopo 1-2 settimane, rispettivamente, venendo progressivamente sostituiti da umor acqueo prodotto autonomamente dall’occhio. A quel punto, il foro è già chiuso (nella maggior parte dei casi).
Prognosi
Il successo di questa chirurgia è elevato. Più del 90% dei fori si chiude, infatti, dopo un solo intervento.
Il successo anatomico (chiusura del foro), non significa tuttavia sempre un paragonabile successo funzionale visivo. La vista, con la chiusura del foro, migliora, ma difficilmente torna alla normalità.
Fattori prognostici positivi sono la breve durata dei sintomi e quindi un intervento precoce, una vista iniziale elevata e l’età’ giovane del paziente.
In ogni caso è sempre meglio intervenite, che lasciare l’occhio al suo destino.
Inoltre, le nuove tecniche di chirurgia mini-invasiva, 25 e 27 gauge hanno reso la vitrectomia più confortevole e sicura, grazie all’uso di strumenti sempre più precisi, veloci ed efficaci.
Come tutte le procedure chirurgiche anche la vitrectomia per foro maculare non è scevra da complicanze. Queste includono, sebbene con basse percentuali di rischio, il distacco di retina e l’infezione.
La cataratta è invece di comune riscontro dopo qualsiasi vitrectomia e insorge molto spesso nell’arco di uno-due anni dopo l’operazione.
La patologia occlusiva venosa retinica è classificata:
- occlusione venosa retinica di branca (BRVO)
- occlusione della vena centrale della retina (CRVO)
- occlusione venosa emiretinica che coinvolge i settori superiori o inferiori
Fattori di rischio
- aterosclerosi: avendo arterie e vene retiniche una tunica avventizia comune, la presenza di una placca ateromasica a livello arteriolare comprime anche la venula corrispondente, con conseguente rallentamento del flusso ed alterazione della coagulabilità locale
- età avanzata: il 50% dei casi sono in pazienti over 65 anni
- glaucoma/ipertensione oculare: per aumento del ristagno venoso
- fumo, diabete, obesità, ipertensione; per alterazioni vasali aspecifiche
- patologie infiammatorie: sarcoidosi, sindrome Behçet
- sindromi da iperviscosità
- trombofilia acquisita o ereditaria
L’occlusione venosa di branca (BRVO) comporta un ristagno del sangue a monte dell’occlusione con conseguente ipossia della zona retinica interessata. In genere la vista viene compromessa solo in maniera molto lieve e solo i casi con coinvolgimento maculare presentano sintomi importanti.
La prognosi dell’occlusione di branca è in genere buona e circa il 50% dei pazienti a 6 mesi possiede un’acuità visiva di almeno 5/10. Le complicanze temibili sono l’edema maculare e la neovascolarizzazione.
La trombosi della vena centrale della retina (CRVO) viene divisa in due forme:
- la forma ischemica
- la forma non ischemica (75%)
Entrambe si presentano con importante compromissione visiva unilaterale ed improvvisa.
All’esame del fundus si osservano numerosissime emorragie retiniche a fiamma ed essudati cotonosi con dilatazione e tortuosità di tutte le vene retiniche, edema maculare di grado variabile ed edema papillare.
La diagnosi differenziale tra forma ischemica e non è molto importante poiché condiziona in maniera determinante la prognosi e il trattemento. Per una corretta diagnosi e stadiazione della patologia sono fondamentali la fluoroangiografia retinica (FAG) e l’OCT.
La prognosi della forma non ischemica è migliore e la gravità della prognosi dipende dall’acuità visiva iniziale. La prognosi della forma ischemica invece è grave poiché si possono sviluppare neovasi a livello retinico ed irideo (rubeosi iridea) con rischio elevatissimo di sviluppare glaucoma neovascolare se non viene effettuato un trattamento fotocoagulativo con argon laser aggressivo e tempestivo.
È quindi indispensabile l’esecuzione di una fluoroangiografia retinica per lo studio delle zone ischemiche ed un trattamento precoce delle stesse e di un OCT per la valutazione della regione maculare.
L’occlusione venosa emiretinica è molto rara e presenta caratteristiche intermedie tra le due occlusioni illustrate in precedenza.
Terapia
Ora la terapia di queste forme si avvale dell’uso dei farmaci anti-VEGF e del laser.
I farmaci anti-VEGF sono iniettati direttamente all’interno dell’occhio con lo scopo di bloccare una molecola, il VEGF, coinvolto nella formazione dell’edema maculare. Il trattamento può prevedere l’iniezione di questi farmaci una volta al mese per diverso tempo, prima di ottenere una guarigione duratura.
Il problema è, infatti, molto spesso cronico, vale a dirsi che non c’e nulla che lo può curare in maniera definitiva. È possibile, infatti, avere anche periodi relativamente lunghi di stabilità, seguiti da improvvisi peggioramenti del quadro clinico.
Anche farmaci steroidei possono giocare un ruolo importante. Il desametasone a lento rilascio e il traimcinolone acetonide si sono dimostrati utili nel trattamento di queste forme, con una necessità minore d’iniezioni. Tuttavia gli steroidi hanno effetti collaterali importanti come il glaucoma e la cataratta e il loro uso dovrebbe essere pertanto molto giudizioso.
Il laser retinico è poi fondamentale nei casi caratterizzati da ischemia. Un trattamento laser panretinico (tutta la retina) è indicato qualora ci sia il rischio o ci siano già i segni di neovascolarizzazione.
Prognosi
Una diagnosi e un trattamento precoce sono importanti nel decretare il successo della terapia. Un’occlusione centrale di tipo ischemico ha poche possibilità tuttavia di tornare a una situazione anatomica e funzionale accettabile.
Molto importante è inoltre il controllo dei fattori di rischio sistemici (pressione, fumo, alimentazione, esercizio fisico, colesterolo), al fine di evitare il coinvolgimento dell’altro occhio o un problema più grave a livello del cervello o del cuore.
Le occlusioni arteriose retiniche si possono classificare in:
- occlusione arteriosa retinica di branca (OABR)
- occlusione arteriosa retinica centrale (OACR)
- occlusione dell’arteria cilioretinica
Qualsiasi sia il tipo di occlusione si tratta comunque di un evento drammatico e di un’emergenza oculistica.
L’occlusione arteriosa di branca (OABR) consiste nell’occlusione di un ramo dell’arteria centrale della retina; la causa più frequente di questa patologia è l’embolia (a partenza varia) ed occasionalmente la periarterite. Il paziente lamenta spesso un difetto di vista altitudinale o settoriale importante e repentino, ossia non è più in grado di percepire parte dell’immagine proveniente da un settore del campo visivo con variabile compromissione varia dell’acuità visiva centrale.
Il trattamento deve essere immediato per tentare di risolvere l’occlusione prima dello sviluppo di danni irreversibili dovuti all’ischemia; la prognosi è comunque riservata anche nei casi trattati precocemente.
L’occlusione dell’arteria centrale della retina (OACR) comporta una grave compromissione del campo visivo in toto e dell’acuità visiva (ad eccezione dei casi in cui sia risparmiata, se esiste, l’arteria cilio-retinica). La causa più frequente è un embolo a partenza da una placca aterosclerotica a livello della carotide. La prognosi è pessima a causa dell’infarto retinico.
L’arteria cilioretinica, presente nel 20% della popolazione, non origina dall’arteria centrale della retina, ma da un plesso più profondo chiamato circolazione ciliare posteriore; anch’essa può andare incontro ad occlusione. Le cause più frequenti sono quelle di tipo infiammatorio come vasculiti (frequenti nei giovani), arteriti a cellule giganti (associate a neurotticopatia ischemica anteriore), o essere associata ad occlusione della vena centrale della retina. Il paziente nota un’importante ed improvvisa perdita dell’acuità visiva centrale con conservazione del campo visivo circostante.
Terapia
Il trattamento delle occlusioni retiniche è un emergenza oculistica. È infatti fondamentale intervenire nel più breve tempo possibile (entro 2 ore) per evitare che l’ischemia retinica determini la morte cellulare e un danno irreversibile. La terapia iniziale consiste nell’associare un massaggio oculare particolare con l’assunzioni di farmaci per dilatare il circolo sanguigno periferico (isosorbide dinitrato sublinguale) e ridurre in maniera significativa la pressione oculare (diuretici osmotici endovena come acetazolamide, mannitolo o glicerolo) allo scopo di rimuovere o perlomeno spostare più in periferica l’occlusione.
Successivamente, se non si ottiene in breve tempo il risultato desiderato, si procede alla paracentesi della camera anteriore (con un bisturi si esegue un tunnel corneale per far diminuire in maniera drastica la pressione oculare).
La prognosi delle occlusioni arteriose rimane sempre e comunque grave e solo in una piccola percentuale dei casi, nonostante la terapia adeguata, si assiste ad un recupero visivo.
La degenerazione maculare legata all’età (AMD è la principale causa di cecità nella popolazione di età superiore a 50 anni nei paesi occidentali. Colpisce il 10% della popolazione tra i 65 ed i 75 anni, ed il 30% degli unltrasettacinquenni. È confortante però che solo l’1,7% delle persone sopra i 50 anni arriverà alla cecità legale; purtroppo questo dato sale al 18% al di sopra degli 85 anni.
L’AMD infatti è legata all’invecchiamento del tessuto retinico ed in particolare della sua zona nobile chiamata macula. La retina è l’equivalente della pellicola per la macchina fotografica e serve a catturarte le immagini messe a fuoco dalle lenti oculari per poi trasmetterle al cervello. È costituita da tessuto nervoso superspecializzato e per questo molto delicata. La macula in particolare è responsabile della visione massima, necessaria per la guida di veicoli, la lettura di caratteri piccoli, il riconoscimento dei volti, la visione dei colori.
La maculopatia è caratterizzata da stadi iniziali in cui si osservano accumuli giallastri sottoretinici (drusen), iperpigmentazione dell’epitelio pigmentato retinico (RPE) ed aree nettamente ipopigmentate dell’RPE. Nelle fasi tardive invece si osserveranno aree di atrofia geografica dell’RPE con possibilità di visualizzare i vasi della coroide sottostante, distacchi dell’epitelio pigmentato retinico (PED) associati o meno a distacco del neuroepitelio, neovascolarizzazioni sottoretiniche e formazione di cicatrici, essudati ed emorragie.
Esistono due forme di degenerazione maculare: la forma secca e la forma umida.
La forma secca o atrofica (non essudativa) è quella più frequente ed è caratterizzata dalla presenza di drusen e dall’atrofia a carta geografica della retina esterna e dell’epitelio pigmentato retinico. Questa forma è lentamente progressiva e può essere caratterizzata da fasi stazionarie.
La forma “umida”, essudativa o neovascolare invece è molto meno frequente ma purtroppo ha un’evoluzione devastante. Spesso infatti porta ad un’importante riduzione della vista in brevissimo tempo. È caratterizzata dallo sviluppo di vasi anomali al di sotto della retina (neovascolarizzazione). Questi vasi patologici tendono ad essere molto fragili perdendo sangue e/o liquido in sede maculare determinando visione confusa e distorta. Il danno maculare si sviluppa rapidamente e, senza trattamento, la perdita della visione può essere grave e rapida. Infatti se non trattata precocemente questa forma porta a cicatrizzazione e distruzione del tessuto maculare.
Fattori di rischio
Dopo i 55 anni, il rischio di degenerazione maculare e il rischio di aggravamento della malattia progressivamente aumentano. Il sesso femminile sembra maggiormente interessato, come pure la popolazione bianca rispetto alle razze pigmentate. Esiste inoltre una certa familiarità della degenerazione maculare senile.
Il fumo aumenta in maniera importante il rischio di degenerazione maculare. I fumatori sviluppano la malattia da 5 a 10 anni prima dei non fumatori ed hanno un rischio doppio di sviluppare la forma neovascolare. Anche l’ipertensione favorisce la forma umida di degenerazione maculare. Un altro fattore di rischio è l’eccessiva esposizione alla luce durante la vita così come una dieta ricca di grassi e colesterolo. Il consumo di pesce e di acidi grassi ω-3 è invece associato ad un minor rischio di malattia. Anche l’obesità è considerata un fattore di rischio.
I soggetti che presentano drusen soft e confluenti in associazione a iperpigmentazioni e atrofie focali dell’epitelio pigmentato hanno un rischio più elevato di evolvere verso la forma neovascolare della malattia. Per chi ha una degenerazione maculare neovascolare in un occhio il rischio di neovascolarizzazione nel secondo occhio in cinque anni è di circa il 30%.
Terapia
Non esiste una terapia vera e propria della degenerazione maculare senile nella sua forma secca. Al momento attuale i pazienti possono fare affidamento su numerosi integratori, che si sono dimostrati in grado di ritardare e rallentare la progressione della malattia. Si tratta di farmaci a base di sostanze antiossidanti, che combattono la formazione dei radicali liberi e l’invecchiamento del tessuto retinico maculare. I principali sono la luteina, le vitamine A ed E, i sali minerali quali lo zinco il rame ed il selenio, ed antiossidanti vegetali quali la zeaxantina e l’astaxantina. Questi integratori alimentari vanno assunti quotidianamente a stomaco pieno, preferibilmente al mattino.
Sono tuttavia previste importanti novità per i prossimi anni. Un nuovo farmaco, il lampalizumab, un anticorpo monoclonale inibitore del fattore D del complemento, ha mostrato risultati confortanti nei pazienti affetti da degenerazione maculare senile con atrofia geografica. In uno studio multicentrico svolto in Germania e negli USA, Lampalizumab si è mostrato in grado di rallentare l’evoluzione delle aree di atrofia retinica. Il farmaco, tuttora considerato in fase sperimentale, viene iniettato per via intravitreale ogni mese e non ha mostrato effetti collaterali imprevisti o di difficile gestione. Non è ancora nota la data in cui il farmaco sarà in commercio.
Le iniezioni intraoculari (o meglio intravitreali) di farmaci anti-VEGF rappresentano oggi lo standard nella terapia della degenerazione maculare senile umida, ovvero complicata dalla presenza di membrane neovascolari sottoretiniche. Tali farmaci agiscono bloccando a monte la nascita dei vasi anomali; in numerosi casi è possibile così arrestare l’evoluzione della degenerazione maculare senile. Questa è la terapia che attualmente presenta i migliori risultati funzionali con la possibilità non solo di bloccare la malattia ma anche nei casi più fortunati di recuperare vista.
L’iniezione viene praticata in regime sala operatoria, con il paziente in posizione sdraiata con tutte le precauzioni adottate per un intervento chirurgico oculistico. Si utilizza una anestesia di tipo locale, cioè si instillano alcune gocce di collirio anestetico. La procedura è indolore e prevede una iniezione del farmaco nel vitreo, la sostanza gelatinosa che riempie l’occhio. L’iniezione può essere ripetuta a seconda delle necessità ogni quattro-sei settimane.
Attualmente sono disponibili tre diversi farmaci: Avastin, Lucentis ed Eylea. Le prime due molecole sono ampiamente utilizzate da alcuni anni con grande successo in numerosissimi pazienti. È stato dimostrato che non portano a risultati clinicamente diversi tra loro. Le principali differenze nascono dal fatto che Lucentis è stato specificamente sviluppato per la degenerazione maculare senile, mentre Avastin non ha l’indicazione ufficiale per tale malattia.
Eylea è dei tre l’ultimo nato e presenta il vantaggio di una somministrazione bimestrale (al contrario di Avastin e Lucentis che andrebbero iniettati ogni mese).